giovedì 17 novembre 2011

12e13 Novembre 2011

12e13 Novembre 2011

Due spari si susseguono rapidi in lontananza.
Chi spara, mi chiedo, in una città di 60'000 abitanti, all’alba di Domenica?
Quando il ritaglio di verde più vicino, il primo boschetto verde scuro, è così distante
che si potrebbe anche non udire una cannonata.
Il dubbio mi scivola via, l’attenzione viene dirottata sotto alla tettoia, non perché piova,
ma per quelle biciclette divelte dal loro posteggio;
tra un arco di metallo e un anello con lucchetto, piegate a terra con forza,
forse un ubriaco tanto stolto quanto violento, forse uno stomaco avvelenato.

 
Tra l’altro bei modelli di bici, ne prenderei una e la sistemerei. 
Mi serve un tronchese, giá, un tronchese...
è da tanto che lascio da parte la richiesta del tronchese ad un amico,
c’è ancora una cantina chiusa piena di ricordi da recuperare. 

Ripenso ad una camminata, tempo fa, sotto ad una nevicata abbondante.
Pensavo che “mi lasciavo seguire dai miei passi” mentre avanzavo a testa bassa.
Tra vicoli e vincoli.

All’alba di Domenica i comignoli dei palazzi fumano,
ed io con loro.

Il Sole fa arrossire le ringhiere.
Una macchina nera, lunga, familiare,
è appena scivolata rapida fin sotto casa mia.
Ero preso a guardare come tutto si infuocasse con il sorgere del nuovo giorno
e intanto non avevo sentito arrivare l’auto.
Il tempo di udire la portiera chiudersi e vedo l’uomo, di spalle, andare verso la porta,
armeggia con le chiavi, tintinnio, apre e piega di lato la valigetta per farla entrare per prima attraverso la soglia che separa il lavoro in ufficio dalla strada, dalla Domenica, dalle ringhiere arrossate come fornelli caldi, dalle foglie ingiallite sul marciapiede, dalle pubblicità volate via come foglie, e dal foglio del giornale al bar che, a disposizione di tutti, noncuranti e non, si tingerà di caffè, inzuppandosi come un cornetto, spiegazzato come un cartone abbandonato fuori dal magazzino
per tutto un weekend.

Che notizia vuoi che ci fosse sul giornale?
Hanno portato fuori l’umido, ma siamo ancora nella merda.

Il tizio che va a lavoro alle 07:00 di Domenica mattina, lui sì che è serio.
Mica come me che sono appena uscito dal bagno,
con una mista appena incartata
e il pensiero su come l’Italia si sia appena tolta una spina dal piede
e si torna a sorridere, con una corona di spine in testa.

Una comunicazione incomprensibile è appena bofonchiata da un megafono in stazione
mixata con una gracchiata di corvo.
La luce si sta facendo accecante, ammazzo e torno dentro.

Il corvo.

Il corvo mi riporta in strada, dove volevo tornare.
E me lo sottolinea il pesante camion che arranca qua fuori,
lungo la via, le sirene di corsa sull’altra strada, tirando dritto sotto i ponti.

Le campane no, non c’entrano niente.
Oh sì? Mi si apre un siparietto, qualche Domenica fa,
su un barcone nel Naviglio a Milano, in compagnia di Pinketts,
a presentazione finita del suo nuovo libro “Depilando Pilar”.
Mi racconta dei vari nomi di Pilar,
come anche il nome della barca di Hemingway a Cuba,
“Per chi suona la campana”
e per chi suona la campana?

Per me no di certo,
io sono solo uno che si è svegliato in piena notte,
ho finito le cartine e sono uscito a comprarle,
ecco i documenti, questo è tutto.

In strada, dove volevo tornare.
Lungo la via deserta, silente.
Via dritto sotto al ponte,
siamo io e un altro un po’ intimorito dalla mia presenza,
rallenta per lasciarmi passare.
Odore di cornetti caldi, supera muri e pareti
e arriva fino in strada a profumare quest’incrocio vuoto. 
Attraverso, arrivo al distributore automatico.
Inizio a smanettare ed ecco che la voce registrata strilla come una scema nel silenzio assoluto,
è imbarazzante, neanche l’odore dei cornetti appena sfornati faceva rumore. 
“INSERIRE LA TESSERA!” “INSERIRE IL DENARO!” “SELEZIONARE IL PRODOTTO!”
Sì, sì, ma che ti strilli? Ma che ti urli? 
Ritiro deluso un pacchetto con accendino e filtri, sì ma filtrini da drum e le cartine sono corte.
Distributore di merda.
Qualcuno passeggia e scambia battute.
Che ci fanno in giro alle sei e mezza di Domenica mattina?
Passeggio, rivedo gli incontri su quella stessa via, il pomeriggio prima.
Ripenso alla mora al bar, allo scambio di sguardi e alla voglia che ho avuto di rivolgergli la parola,
a tornare indietro... ma torna a casa và. 
Passeggio, rivedo gli incontri su quella stessa via, il pomeriggio prima e quello prima ancora.
Portici da ricariche e ore su internet, tra lezzi e afrori da quattro continenti diversi.
Attraverso.
Gli ultimi istanti di un lampione nella piazza fronte stazione:
illumina un incendio di colori, fiammate rosse di foglie tra i rami secchi delle poche piante,
che tanto spettacolo sanno dare, svestendosi per la stagione,
arrossendo per l’emozione.

L’emozione la vedo sul volto della barista, stupore.
Da quanto tempo non mi vedeva entrare qui per una colazione?

Situazione: due ragazzini che han fatto serata, ancora gasati, commentano ad alta voce al tavolino;
donna peruviana, matura, in attesa al tavolino a fianco;
coppia strapazzata all’ingresso sul banchetto,
zitti, lui legge, lei è da foto “l’impermanenza del trucco”;
ragazzi arabi assediano da dietro il bancone la piccola barista
che dimostra confidenza con loro;
tizio di spalle, cappello da baseball, legge le pagine sportive,
sfilo da sotto con educazione il giornale di oggi, nuovissimo, ancora intonso.
Che notizia vuoi che ci fosse sul giornale?
Hanno portato fuori l’umido, ma siamo ancora nella merda.

Consumo e pago anche troppo.

In strada, dove volevo tornare.
I lampioni si sono spenti, spettacolo finito, notte chiusa.

Attraverso la stazione con “Attraversare la Notte” dei Tiromancino che mi suona in testa.
Alle porte vetrate ragazzi strisciati via da un rave; alle panchine molte ragazze Africane,
ripenso all’altra sera, dal mio vicino, mentre davano in tv “Bianco e Nero”, che gnocca lei.
Come ho fatto a vedere più di metà di quel film? 
Ero proprio rilassato, non avevo un cazzo da fare. 
Sorsi di Porto, bicchieri giusti e il vicino che a un certo punto
esordisce sul fatto che a Fabio Volo i libri glieli scrivono, ha letto l’ultimo.
"Ah si?". Per me Fabio Volo é uno che ho incrociato a Milano per strada
e che faceva un programma divertente su Radio Deejay e altre trovate azzeccate.
Era trasandato e zoppicava. 
Sento nostalgia della mia isola, nel mio appartamento, 
mi pento di aver voluto creare un momento sociale, 
trovo una motivazione diplomatica e torno nel mio abbandono
alla cortese attenzione dei miei vuoti e dei miei voli solitari. 
Ci metto un istante a ricordarlo,
qui invece sono dieci righe e io sono già su per gli scalini, dopo il sottopasso.

Due spari si susseguono rapidi in lontananza.
Chi spara, mi chiedo, in una città di 60'000 abitanti, all’alba di Domenica?
Quando il ritaglio di verde più vicino, il primo boschetto verde scuro, è così distante
che si potrebbe anche non udire una cannonata.
Il dubbio mi scivola via, l’attenzione viene dirottata sotto alla tettoia, non perché piova,
ma per quelle biciclette divelte dal loro posteggio, tra un arco di metallo e un anello con lucchetto, piegate a terra con forza, forse un ubriaco tanto stolto quanto violento, forse uno stomaco avvelenato.
Tra l’altro bei modelli di bici, ne prenderei una e la sistemerei.
Mi serve un tronchese, giá, un tronchese...
è da tanto che lascio da parte la richiesta del tronchese ad un amico,
c’è ancora una cantina chiusa piena di ricordi da recuperare. 

La strada che attraverso da sempre.
Un corvo si apposta su una grondaia.
In una strada che conosco da sempre, anche solo la piega sul dorso,
tra le ali, diventa un dettaglio interessante, morbido, nero lucido.
Un nero da intimo femminile. 
Mi riporta al volo teso di un piccione, basso, sotto ai cavi del tram,
sempre una Domenica mattina, tornando a casa, con l’odore di Lei sulle dita.

Passo sotto alle piante, osservo colori e dettagli.
Apprezzo la fotografia perché insegue queste piccole e significative variazioni di luce e toni
che all’alba vedi cambiare ad occhio nudo, sulla sottile superficie delle cose, sulla loro pelle, sui loro confini, tutto delicatamente appeso ad un filo, che è la giornata, che è il tempo,
da quando ne ho una minima comprensione.

La Luna splende meglio che di Notte,
sta in cima ad una ciminiera sbilenca,
rossa, mattone su mattone.
Attraverso e infilo il portone.
Niente posta e nessuna comunicazione,
intanto penso a cosa dovrò dire in settimana al padrone.

Penso a come vorrei di più campare con questa professione,
che accomuna gli Artisti e le persone,
a vivere, sorridere e alzare qualche questione.
Penso alle mostre, allo scrivere, a quanti comici avranno meno lavoro
adesso che il Cavaliere ha fatto un passo indietro.
Cavaliere senza cavallo.
Con chi se la prenderanno?
Come faranno? Ci sarà maggior coesione?
Ma davvero, su chi sparlano se non c’è più il Premier pasticcione?
Con chi se la prendono adesso? A chi spari se fai la rivoluzione?
Leggo con stupore “Tutti tecnici, non politici,” in riferimento al nuovo
possibile staff del Governo Monti. Evvai! Non politici!
Che meraviglia vedere quelle parole, via, via!
Una classe che deve estinguersi, chiacchieroni, un pesante fardello,
costoso intralcio all’evoluzione di un Paese che dovrebbe essere “moderno”.
Ho già avuto tempo per riflettere, qui la punta brucia, va tutto in fumo,
basta aggrapparsi ad un corrimano e trascinarsi in fondo. L’uscita c’è ed è ben visibile.

Guardo la città dal mio posto in prima fila, dalla mia bella cornice di legno scuro.
Senza orari, spossato dalla serata che chiedeva a gran voce di rincarare la dose,
confuso da quanto mi accade intorno e non dentro.
A breve partire, migrare.
Intanto i miei progetti e quanto voglio realizzare.
Tutto compresso in così pochi mesi?
Esploderò
Sbuffo.
Mi ritrovo stupito, vivo quello che voglio,
quello che desidero, senza fronzoli, senza “sarebbe meglio” ma “solo con”.
E’ così vero che non sembra vero. Vivo la vita che desidero e a volte non la riconosco.

La città intera si sta parcheggiando su sé stessa, tutto tace,
vivo saltando di ramo in ramo, guardo sotto e capisco che non ho niente
da dimenticare se non quello che ho già voluto lasciare.
Sono già partito più volte, sono stato straniero anche nella mia stessa città,
vissuta in molteplici varianti, attraversandola tutta, senza mai cambiare passo.

Percorro da tempo un sentiero tracciato nel folto della vegetazione.
A volte s’incrocia con altri percorsi, torrenti, divieti e qualche deviazione.
La vita al naturale, allo stato brado del pensiero e azione,
coinvolge di più i sensi. Sei sempre più a rischio, in tensione,
ma fai cose che ti riempiono di gioia e la catalizzi come energia pulita
che ti scorre dentro, ti fa affrontare e risolvere di tutto
e dove non arrivi inventi, camuffi, stravolgi,
prendi tutto, assapori, usi le mani, crei,
vivi cotto al sangue, con rucola e pomodorini, certo, volentieri! E scaglie di grana, per favore.
Pff’, altro che scemenze, la vita è meravigliosa, respiro,
faccio colare oro del Salento, olio salentino,
da ulivi che ho annusato e che ho piantato negli occhi,
mentre mi ci perdevo dentro, sconfinando con lo sguardo.
Per me, che vivo tra i palazzi, con il cielo incorniciato tra i palazzi.
“Ma siam pazzi?” dice sempre Crozza per imitar Bersani.
Spiaggia, bagnasciuga e non ci sono prati con i 7 nani.
Affondo in un’onda, affondo un boccone.
La vita è meravigliosa e sormontata di rumori,
idee di una violenza stordente e fatti a ruota che solcano le giornate. 
Fai uno slalom attraverso i tuoi impegni, scivolandoci dentro come una pallina sempre in buca
e sul green a colpire c’è Tiger Woods.
I cappelli non volano più via, ovvio che serve un soffio di follia!
Dinamismo, non deve starti dietro niente.
Non come adesso, dove ogni giorno trascorso è lavoro in più ancora da fare.
Telefonate e contatti ancora da richiamare.
I ritmi di una radio dettano lo scandire delle tue “lamate” di tempo,
a fette di torta sul quadrante dell’orologio, fette e “lamate”,
tagliate via e pesate, vendute al netto.
Tu ti tieni il lordo.
Pausa pranzo, resurrezione.





“All’alba di Domenica i comignoli dei palazzi fumano,
ed io con loro.”

12e13 Novembre 2011

di Simone Faresin. 

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